mercoledì 4 settembre 2013

the writer's corner.

Quello che pubblico in questo post è un compito. L'ho fatto per il ragazzino che seguo a ripetizioni, perché lui non è assolutamente in grado di mettere insieme quattro righe decenti. Per cui, piuttosto che farlo andare a scuola senza compiti, ho deciso di scriverlo io. Non è niente di che, ma fatemi sapere lo stesso cosa ne pensate, nel caso voleste leggere altre storie! alla prossima
C.

Tutta colpa del vento
Ero appena tornato a casa dopo un altro estenuante allenamento di pallacanestro. Il venerdì è il giorno che più amo e più odio allo stesso tempo: posso già entrare nell’ottica del week end, ossia pensare a rilassarmi e a liberarmi di tutto lo stress accumulato durante la settimana. Ma è una fortuna se a questo giorno ci arrivo vivo. Ogni settimana è una sfida per arrivare a sabato pomeriggio sani e salvi: allenamenti, compiti, ripetizioni… un mix di cose da fare che ti tengono sotto pressione e che mettono a dura prova i tuoi nervi. Per fortuna hanno inventato la domenica.
Inserisco la chiave nella serratura e con mia grande sorpresa mi accorgo che la porta è aperta.
“Mia mamma si sarà dimenticata di chiudere come suo solito” penso tra me. Tutte le volte quando mia madre va a dormire, troppo stanca per aspettarmi sveglia quando torno da allenamento, si dimentica di chiudere la porta a chiave: ma dico non avrà paura che possa entrare qualcuno in casa? Io si! Sarebbe la cosa che più mi inquieta e per questo farei fare alla chiave il doppio giro, metterei il catenaccio e anche una sedia davanti alla porta. Ok forse la sedia è un po’ esagerata: sta di fatto che io non mi dimenticherei mai di una cosa così importante.
Entro in casa, abbandono la mia borsa dove capita e mi fiondo subito davanti al fornello per vedere se la mia adorata mammina ha lasciato qualcosa da mangiare dopo l’allenamento estenuante.
Mentre riscaldo i cannelloni nel forno a microonde, mi scappa l’occhio al calendario e mi accorgo che oggi è un giorno particolare: venerdì 17 febbraio. Mamma e papà non ci sono, mi avevano detto che sarebbero andati fuori a cena per festeggiare San Valentino, anche se con qualche giorno di ritardo.
“ma allora perché la porta era aperta? Mia mamma non può essere cosi sbadata da dimenticarsi di chiuderla anche quando esce”. Questo pensiero abbandona la mia mente nel momento in cui il suono del microonde mi avverte che la mia cena è pronta. Prendo il mio piatto, una forchetta, un bicchiere e una lattina di CocaCola e vado a sedermi sul divano, così posso gustarmi qualcuno di quei programmi che la mamma non mi fa mai guardare visto che vanno in onda sempre troppo tardi.
1000 modi per morire era appena iniziato ed io mi ero portato il primo boccone in bocca, quando sento un rumore sordo provenire dalla camera da letto dei miei. Non ci faccio troppo caso “sarà il gatto che gioca con i soprammobili” penso.
Continuo a seguire il programma e a gustarmi la mia cena in tutta tranquillità.
Finito di mangiare mi alzo per cercare qualcosa di dolce per concludere in bellezza questa cenetta coi fiocchi. Un altro rumore. Più forte di quello di prima. E vedo il gatto che dal bagno si dirige verso di me in cerca di cibo. “allora non era lui la fonte del rumore”. Inizio a preoccuparmi: l’idea che qualcuno possa essere entrato in casa inizia a farsi strada nella mia mente.
“cosa faccio se c’è qualcuno?? Inizio ad urlare come una ragazzina??” “No sono un maschio! Devo farmi valere” “ma come?? Qualsiasi uomo sarebbe più forte di me!! Perché non ascolto la mamma quando mi dice di mangiare la carne… a proposito della mamma: quando torna devo farle un bel discorsetto! Sempre se quando tornano io sono ancora vivo e non sono stato brutalmente ucciso dal serial killer psicopatico che è entrato in casa mia!!”.
Inizio ad aprire i cassetti a caso, in cerca di qualcosa che possa essere usato come arma di difesa: mi munisco di mattarello e coltello per tagliar la carne. Un coltello cosi grande non l’avevo mai visto! Mi fa quasi paura a tenerlo in mano, figurarsi se qualcuno dovesse puntarmelo contro.
Ritorno sul divano insieme alle mie armi, mi accuccio contro i cuscini e mi copro con la coperta che trovo. Sto letteralmente morendo di paura. I rumori si fanno sempre più intensi. “starà cercando le cose di valore nella stanza dei miei”.
“cosa faccio? Vado in camera e cerco di spaventarlo?”. Decido di starmene rintanato nel mio angolino, in attesa del mio destino. “cosa farà quell’essere quando mi vedrà?? Sicuramente mi ucciderà! Allora tanto vale andare incontro alla mia sorte, tanto è comunque infausta!”.
Mi alzo dal divano. Decido di tenere la coperta sulle spalle: mi da un senso di protezione. Nelle mie mani reggo con una presa salda, il mattarello e il coltello.
Pian piano mi dirigo verso la porta che divide la zona giorno dalla zona notte. Inizio a sudare freddo e sento le mie ginocchia tremare.
Non ho mai avuto così tanta paura in vita mia.
Apro la porta cercando di fare meno rumore possibile, cercando di mantenere almeno l’effetto sorpresa sullo psycho killer.
con passo felpato mi dirigo verso la stanza dei miei, già conscio della fine che mi spetta non appena l’individuo si accorgerà della mia presenza in quella casa.
Arrivo davanti alla porta, semiaperta della stanza, e con un movimento velocissimo la spalanco e…….. adesso se ripenso a questa storia mi viene da ridere. Rido soprattutto di me stesso per aver pensato che ci fosse un killer in casa mia, e che non mi sia venuto in mente che mia madre accidentalmente avesse potuto lasciare la finestra della sua stanza aperta, permettendo al vento, particolarmente forte quella sera, di far cadere la maggior parte dei gingilli che si trovavano sopra ai mobili della stanza.
Chiudo la finestra, recupero le mie armi e me ne torno in salotto, premurandomi di lasciare le porte aperte: “non si è mai troppo prudenti”.
In quel momento arrivano anche i miei genitori, che vedendomi conciato in quel modo, mi chiedono cosa sia successo. “tutta colpa del vento”.
 

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